Ieri, durante un corso sulla leadership, parlavo di relazioni autentiche. Di come la comunicazione — argomento tritato fino all’esaurimento — venga spesso ridotta a un elenco di tecnicismi: scegliere le parole giuste, calibrare il tono, avere obiettivi comunicativi chiari, adattarsi all’interlocutore. Tutto giusto.
Ma non basta.
Perché uno dei pilastri più sottovalutati della comunicazione non si trova nelle parole. Si trova nell’osservazione.

Tutti conoscono la frase: “È impossibile non comunicare.” La ripetiamo come un mantra, la usiamo nei corsi, la scriviamo nelle slide. Ma pochi si fermano a chiedersi: cosa vuol dire, da leader?

Vuol dire che anche il modo in cui osservi qualcuno è comunicazione. Vuol dire che l’interesse è il primo linguaggio della leadership.

E non lo dico in senso poetico, ma biologico: fin da neonati impariamo che essere visti significa sopravvivere. Chi non viene guardato, non esiste. È per questo che la prima vera forma di leadership nasce da un gesto primordiale: ti vedo.

C’è una differenza enorme tra vedere e osservare. Vedere è un atto neurologico: la luce colpisce la retina, il cervello elabora, fine. Osservare, invece, richiede intenzione. È dire a te stesso: mi fermo e voglio capire.

Ma viviamo in un mondo che non si ferma mai. E così ci abituiamo a “vedere” colleghi, collaboratori, persone care — senza realmente accorgerci di nulla. Solo che la leadership non si misura in visibilità, ma in presenza.

Per guidare qualcuno, devi sapere dove si trova. Sembra banale, ma è il principio base di qualsiasi relazione di influenza.

Se ti dico “passa a casa mia alle sei” e tu non sai dov’è casa mia, non mi troverai mai. Ecco: la maggior parte dei leader prova a “portare le persone da qualche parte” senza avere idea di dove siano — in termini emotivi, psicologici, perfino fisici.

Il primo atto di leadership è localizzarli. Capire in che stato d’animo si trovano, quali preoccupazioni si portano dietro, quanta energia hanno davvero in quel momento. Perché da lì nasceranno tutti i comportamenti che poi andrai a valutare — spesso in modo cieco: la performance, la motivazione, l’errore, la reazione.

Non aspettare che i tuoi collaboratori vengano a dirti come si sentono. Non lo faranno. Non perché non si fidino, ma perché, da esseri umani, tendiamo a “fare il nostro dovere” anche quando stiamo male.

E così, dietro la normalità apparente, si nascondono preoccupazioni, stanchezze, paure — che non emergono mai, se nessuno le nota. Eppure si vedono: nella postura, nello sguardo, nel ritmo della voce, nel modo in cui qualcuno cammina in corridoio o resta in silenzio in riunione.

Il leader autentico non aspetta segnali. Li osserva.

Pensa a una volta in cui qualcuno ti ha guardato negli occhi e ti ha chiesto “come stai?” in modo diverso. Non per cortesia, ma perché aveva notato che qualcosa non andava.

Ti sei sentito visto.
Accolto.
Importante.

E cosa hai provato subito dopo? Gratitudine. Desiderio di ricambiare quell’interesse. Questo è il meccanismo biologico alla base della leadership: l’interesse genera reciprocità. Le persone seguono chi si accorge di loro.

La leadership nasce prima di tutto come una forma di attenzione verso le persone. Le relazioni sono processi biologici prima che psicologici. E l’umanità non è un optional nei team, ma una condizione per far funzionare le cose. Quando smettiamo di osservare, smettiamo di guidare. E a perdersi, per strada, non è solo l’empatia. È la produttività stessa, travestita da efficienza, ma svuotata di senso.

Quando è stata l’ultima volta che ti sei fermato a osservare davvero le persone con cui lavori — non per valutarle, ma per capire come stanno?

Ti sei mai chiesto che cosa succede, ogni giorno, prima che qualcuno apra bocca? Che cosa raccontano i loro silenzi, le posture, gli sguardi, ancora prima delle parole? E nella tua vita fuori dal lavoro — quante volte hai davvero visto chi ti sta accanto, invece di limitarti a guardarlo?

Se è vero, come diceva Paul Watzlawick, che non si può non comunicare, allora significa che la leadership non inizia quando parli. Inizia quando osservi.

Buona settimana,
Simone