Negli ultimi anni, si è diffusa l’idea che l’intelligenza artificiale sostituirà tutto e tutti. Alcuni credono che nel giro di pochi anni non avremo più bisogno di medici, insegnanti, avvocati e, ovviamente, leader. Una visione, diciamolo, molto artificiale e poco intelligente.
Non sarebbe la prima volta che l’umanità reagisce in modo esagerato a una nuova tecnologia. Quando lo smart working ha preso piede, qualcuno prevedeva la fine degli uffici e la scomparsa del lavoro in presenza. Con le auto a guida autonoma si diceva che tassisti e autotrasportatori sarebbero diventati una categoria estinta nel giro di pochi anni. Quando i social media sono esplosi, molti erano convinti che le persone avrebbero smesso di parlarsi dal vivo. Spoiler: non è andata proprio così. Gli uffici esistono ancora, i conducenti pure, e le persone continuano a incontrarsi.
Ora siamo di fronte all’ennesima paura ciclica: l’intelligenza artificiale sostituirà il concetto di “leadership”. Ma se c’è una cosa che la storia ci insegna, è che nessuna tecnologia ha mai cancellato la necessità della guida umana.
L’AI non sostituirà la leadership, la renderà più efficace
Se c’è una cosa che le macchine non sanno fare è essere leader. Possono processare dati, prevedere tendenze e scrivere e-mail con un’ortografia impeccabile, ma non hanno empatia, visione strategica o capacità di ispirare un team.
Chi pensa che l’AI renderà superflua la leadership probabilmente è lo stesso tipo di persona che, di fronte all’invenzione della lavatrice, temeva la fine della civiltà perché non si sarebbe più “imparata la virtù della fatica”.
In realtà, l’AI può automatizzare compiti ripetitivi, fornire dati intelligenti e migliorare la comunicazione, ma la scelta finale (e la responsabilità) resta umana. Un buon leader sa che la tecnologia è uno strumento, non un sostituto della sua capacità di comprendere, motivare e costruire relazioni di fiducia.
Le nuove competenze di un leader nell’era dell’AI
Ora, se l’AI non ci sostituirà, cosa deve fare un leader per rimanere rilevante? Non serve diventare un programmatore o conoscere ogni algoritmo di machine learning. Serve, piuttosto, saper usare l’AI senza diventarne schiavo.
Serve pensiero critico, perché anche il miglior software può prendere cantonate. Serve empatia, perché se la tecnologia può gestire i numeri, un leader deve saper gestire le persone. Serve adattabilità, perché le regole del gioco stanno cambiando e chi guida un team deve saper evolvere insieme al contesto.
Integrare l’AI senza perdere il fattore umano
Un buon leader sa che la tecnologia è un mezzo, non un fine. Così come il telecomando non ha eliminato la necessità di alzarsi dal divano ogni tanto, l’AI non eliminerà il bisogno di un vero leader.
Automatizzare il superfluo va bene, ma le decisioni strategiche, la gestione delle persone e la capacità di far emergere il meglio da un team restano competenze umane. Se un leader delega tutto all’AI, presto il team inizierà a chiedersi a cosa serva ancora il leader. E, a quel punto, forse sarà davvero la tecnologia il problema minore.
La leadership non sta scomparendo. Sta evolvendo.
Il vero problema non è se l’AI ci sostituirà, ma se siamo abbastanza intelligenti da usarla nel modo giusto.
Quindi, se hai paura che l’AI possa prendere il tuo posto, forse è il caso di chiederti: la tua leadership si basa su un valore reale che fa la differenza o solo su attività che una macchina può automatizzare? Se è la seconda, allora il problema non è l’AI.
A presto,
Simone