Viviamo in un’epoca che celebra ogni forma di inclusività. Nei consigli di amministrazione si cerca equilibrio di genere, diversità culturale, pluralità di età e background. Possiamo definirci fragili, emotivi, pigri, ansiosi. E va bene così.
Ma c’è un’etichetta che nessuno vuole. Una parola che ci mette più a disagio di tante altre. Una che mina, più di ogni altra, l’idea che abbiamo di noi stessi come esseri razionali: “stupido”.
Puoi essere distratto, lento, aggressivo, perfino irresponsabile. Ma non puoi permetterti di essere considerato stupido. Perché la stupidità, in fondo, è l’ultimo vero tabù sociale. Non esiste una “lobby della stupidità”. Nessuna quota da rispettare. Nessuna tutela. Nessuna inclusione.
Eppure la stupidità vera non ha nulla a che fare con il quoziente intellettivo. Non riguarda il livello di istruzione né la cultura accumulata. È qualcosa di più sottile. Persone intelligenti, brillanti, colte possono prendere decisioni profondamente stupide. E accade ogni giorno. Il punto non è quanto sai, ma come usi ciò che sai. Più sei colto, più sei abile a giustificare le tue idee… anche quando sono sbagliate. L’intelligenza, se guidata dall’arroganza, può diventare un ostacolo alla lucidità.
Uso la parola “stupidità” non per insultare, ma per nominare un comportamento: cieco, rigido, chiuso. Una forma di presunzione che ci impedisce di vedere oltre ciò che crediamo già di sapere. È proprio quando le cose si complicano che emerge la stupidità più pericolosa: quella invisibile, alimentata dalla paura di mettersi in discussione.
Il paradosso della complessità: sapere tanto, capire poco
Mai come oggi abbiamo avuto così tante informazioni a disposizione. E mai come oggi siamo vittime dell’illusione di capire.
Un celebre studio chiese a centinaia di persone di disegnare una bicicletta. Quasi la metà fallì. Non per mancanza di creatività, ma per mancanza di attenzione. Un altro studio rivelò che la maggior parte delle persone non sa spiegare il funzionamento di una toilette.
Questo fenomeno ha un nome preciso: illusione della profondità esplicativa. Basta aver sentito parlare di qualcosa, letto un post o ascoltato un podcast, per sentirci esperti. È una trappola pericolosa. Soprattutto nella leadership. Perché guidare non significa sapere di più. Significa sapersi mettere in discussione. Non è l’incompetenza a rovinare la leadership. È l’arroganza. La convinzione di sapere già tutto. La presunzione che il proprio punto di vista basti. E così si cade nell’errore più grande: confondere intelligenza con efficacia.
La storia, l’economia, la psicologia sono piene di menti brillanti che hanno preso decisioni disastrose. Non per mancanza di intelligenza. Ma per mancanza di ascolto. Di umiltà. Di dubbio.
Quando il sapere diventa una trappola
Più siamo convinti di sapere, più diventiamo vulnerabili. È stato dimostrato che chi è più istruito può diventare il più rigido. Perché sa difendersi meglio. Argomenta, razionalizza, si protegge. Così costruisce attorno a sé una trincea logica che lo rende impermeabile al buon senso. Questo è il rischio più grande per chi guida: innamorarsi delle proprie idee. Analizzare tutto. Dubitare di tutto. E alla fine, non decidere più nulla.
La lucidità non nasce dalla mente brillante. Nasce dalla consapevolezza. Dalla capacità di fermarsi. Di rimettere in discussione ciò che si dà per scontato. Chi è certo di sapere tutto, prima o poi perde chi lo segue. O peggio: li spinge a cercare risposte altrove.
Quando il gioco si fa duro, i duri iniziano a pregare
E cosa succede quando la razionalità non basta più? Succede che ci rifugiamo nel pensiero magico.
Non è un caso che più del 50% delle persone – anche giovani e istruite – creda negli oroscopi. In Germania, il mercato dell’esoterismo ha superato quello della birra. Perché? Perché nei momenti di incertezza non cerchiamo solo spiegazioni. Cerchiamo orientamento.
Come ha detto Harald Lesch:
«Cercate degli atei su un aereo in preda alla turbolenza: non ne troverete molti.»
Quando la paura prende il sopravvento, anche il più razionale cerca qualcosa a cui aggrapparsi. E se chi dovrebbe guidare non c’è – o si limita a parlare con freddezza tecnica – quello spazio lo occuperà qualcun altro.
L’epoca dei guru
È per questo che oggi viviamo nell’epoca dei guru. Persone che promettono soluzioni facili, soldi facili, felicità in tre mosse. Conoscono bene le fragilità collettive e le cavalcano con cinismo. Nei momenti di crisi, ci aggrappiamo a chiunque ci faccia sentire al sicuro. Anche se è una Wanna Marchi digitale vestita da coach o imprenditore illuminato.
Guarda i social.
Siamo circondati da profili che costruiscono autorità sulle illusioni. E ci caschiamo. Perché abbiamo fame di certezze, non di verità.
L’illusione della leadership razionale
Anche nel mondo manageriale la trappola è evidente.
Leader iper-competenti che prendono decisioni scollegate dal contesto. Team pieni di talento che si perdono nella complessità, mentre il buon senso resta fuori dalla porta. Quando l’intelligenza prende il posto dell’ascolto, la lucidità svanisce. Si analizza. Si controlla. Si pianifica. Ma si smette di vedere. E quando arriva una crisi – perché arriva sempre – chi è abituato ad avere ragione si chiude nel proprio modello. Anche se è quello sbagliato.
Conclusione
La stupidità non è l’opposto dell’intelligenza. È l’effetto collaterale di un sapere usato male.
La leadership non nasce dal bisogno di dimostrare quanto sai. Nasce dalla capacità di essere presente. Di stare vicino a chi si sente perso.
Ci hanno sempre detto che leadership è “andare per primi”. Ma non è così.
Se non ti metti in discussione, se non scendi dal piedistallo, potrai anche essere là davanti…ma quella non è leadership. Non sei un passo avanti. Sei solo un passo più lontano da chi dovresti guidare.
A presto,
Simone
Bibliografia
- Cipolla, Carlo M. (1988). Le leggi fondamentali della stupidità umana. Il Mulino.
- Beck, Henning. (2025). Le 12 leggi della stupidità umana: Che ci impediscono di prendere decisioni sensate. Giunti Editore.
- Dunning, David & Kruger, Justin. (1999). Unskilled and unaware of it. Journal of Personality and Social Psychology, 77(6), 1121–1134.
- Kahneman, Daniel. (2011). Thinking, Fast and Slow. Farrar, Straus and Giroux. Trad. it. Pensieri lenti e veloci. Mondadori.