Carattere o mentalità? È da qui che dovremmo iniziare a riflettere. Preferisco parlare di mentalità e non di carattere, con la convinzione che una persona possa scegliere di cambiare quando necessario, di fronte all’evidenza dei fatti e alla mancanza di risultati. Disquisizioni a parte, quando parliamo di leadership, parliamo prima di tutto di mentalità.

La mentalità è il modo di pensare più radicato di una persona, un insieme di convinzioni e retaggi culturali che spesso hanno origini lontane e dipendono dall’ambiente in cui una persona è nata, cresciuta, educata e ha maturato le proprie esperienze. E non c’è problema più grande, parlando di mentalità e crescita di un team, di un atteggiamento che porta a dire: “Abbiamo sempre fatto così, è così, sarà sempre così.”

Se questo fosse vero, oggi vivremmo ancora nell’età della pietra. Eppure, molte persone restano bloccate in una mentalità statica, incapaci di imparare dagli errori e di evolversi.

 

Dopo 25 anni nel mondo del business, occupandomi di sviluppo organizzativo e performance individuale e di team, ho condotto molte ricerche. Analizzo i dati oggettivi per non farmi influenzare dagli stessi bias cognitivi di cui parlo in questo articolo. La questione centrale è questa: non vedi le cose per come sono, ma per come sei tu. Se non credo di poter fare qualcosa, vero o meno che sia, non la farò nel modo migliore possibile e mi mancheranno elementi fondamentali per riuscirci: coerenza, determinazione e competenze.

Bill Gates una volta disse: “Se la tua unica mentalità è un martello, ogni problema che vedrai sarà un chiodo.” Il punto è che la mentalità è come un interruttore on/off che accende o spegne la nostra capacità di mettere in atto azioni coerenti con i risultati che potremmo raggiungere. Ma se la mentalità è statica, rimarremo fermi a giustificare il fallimento.

Negli ultimi cinque anni, attraverso 15 ricerche condotte su team di almeno 15 venditori, ho rilevato che questo fenomeno è determinante non solo per i risultati commerciali, ma anche per chi deve gestire un team di “professionisti” con questa mentalità.

I dati emersi mostrano che oltre il 50% dei venditori in crisi tende a giustificare i propri risultati con fattori esterni: mercato difficile, clienti più esigenti, concorrenza aggressiva. Ed è sicuramente vero. Oggi più che mai, il mercato è sempre più competitivo, i clienti sempre più informati ed esigenti, e la concorrenza sempre più aggressiva.

Ma ti sei mai chiesto quale sia la mentalità di quella che definisci “concorrenza aggressiva” e come fanno a ottenere risultati migliori? La risposta ovvia potrebbe essere che abbiano prodotti, servizi o prezzi migliori, ma questo non basta a spiegare il quadro completo.

La riflessione da fare è doppia: se il problema della mancanza di risultati è legato a un prodotto, servizio o prezzo non competitivo, perché vendi qualcosa in cui non credi?

Secondo: se tutto ruota attorno alla guerra dei prezzi, allora a cosa serve chi vende il prodotto? Se il problema di vendita è il prezzo, non c’è bisogno di venditori, ma solo di un listino aggiornato e di un sistema di vendita automatizzato. Basti pensare ai ristoranti che hanno eliminato i camerieri, affidando le ordinazioni ai tablet (come nei format all-you-can-eat), o a grandi catene come McDonald’s, che hanno ridotto il personale con i totem digitali.

 

Se il valore del venditore si riduce al prezzo, allora il suo ruolo diventa superfluo.

Un venditore fa la differenza quando aggiunge valore, costruisce relazioni e trova soluzioni. Se tutto ciò non conta, forse il problema non è il mercato, ma la mentalità con cui si affronta la vendita.

Inoltre, quando in un team oltre la metà dei venditori ha questa mentalità, il problema diventa più grande della semplice mancanza di risultati: mina la crescita dell’intero gruppo e ostacola ogni possibilità di miglioramento. Chi si convince che il problema sia fuori dal suo controllo smette di cercare soluzioni, ed è proprio lì che un leader deve intervenire: perché spesso il problema non è la mancanza di risultati, ma la mentalità che impedisce di ottenerli.

La domanda resta una: vuoi esprimere una leadership orientata al risultato? Smettila di voler avere ragione sulle tue stesse idee e inizia a uscire dalla dicotomia del “giusto o sbagliato”, “vero o falso”, e chiediti: il mio modo di pensare è utile in questo contesto?

Pragmatismo e utilità sono i criteri fondamentali di una mentalità dinamica che non cerca di avere ragione, ma cerca soluzioni al problema nonostante tutto.

Troppo spesso, per paura di creare un turnover o per mancanza di una strategia chiara, le aziende accettano situazioni che rappresentano il vero problema della performance complessiva.

Se sei orientato ai risultati e vedi che il tuo team leader dedica tutto il suo tempo ad assecondare chi si focalizza solo sui problemi senza mai cercare una soluzione, allora abbiamo un problema più grande della semplice performance di vendita. Il rischio è perdere chi dovrebbe rimanere e trattenere chi dovrebbe andarsene.

La Sindrome di Dunning-Kruger insegna che chi sa poco crede di sapere tutto, mentre chi studia davvero sa che deve continuare a imparare. La verità è che spesso chi ha più bisogno di crescere non si rende conto di averne bisogno. Ma se passi tutto il tuo tempo a dare attenzioni a chi ne ha bisogno, trascuri e non dedichi tempo e risorse a chi se lo merita veramente. Se un leader non fa questa distinzione, rischia di perdere i talenti migliori per strada.

E alla fine, ancora una volta, di fronte alle criticità, la scelta rimane sempre la stessa: o scegli di far parte del problema, o parte della soluzione.

 

A presto,
Simone

 
 

Se vuoi approfondire il tema della leadership adattativa e del mindset orientato ai risultati, ti consiglio questi testi:

    • Leadership Adattativa – Ronald Heifetz, Marty Linsky
    • Le 21 leggi fondamentali della leadership – John C. Maxwell
    • Mindset: Cambiare forma mentis per raggiungere il successo – Carol S. Dweck
    • Leaders Eat Last – Simon Sinek
    • The Coaching Habit – Michael Bungay Stanier