Non è una notizia da scorrere. È una di quelle da leggere con calma, perché parla meno di Amazon e più di noi. Amazon ha annunciato il più grande licenziamento della sua storia: 30.000 persone, quasi il 10% dei suoi dipendenti aziendali. Molti di quei ruoli verranno assorbiti da sistemi di intelligenza artificiale o da processi automatizzati. È un fatto grave, umano, doloroso. Ma non basta fermarsi al dispiacere. Serve capire cosa significa — non solo per chi ha perso il lavoro, ma per chi oggi lo sta ancora facendo allo stesso modo di ieri.
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Il vero shock non è economico, è culturale
Ogni volta che una tecnologia avanza, reagiamo come se ci cogliesse di sorpresa. Ma non è un evento imprevedibile: è una conseguenza.Abbiamo continuato a lavorare come se il contesto restasse fermo, mentre tutto si muoveva. La tecnologia non corre più veloce di noi: si limita a correre nella direzione in cui noi abbiamo smesso di andare.
Molti lavori, anche intellettuali, sono diventati esecuzione di procedure. E quando un lavoro si riduce a esecuzione, la tecnologia prima o poi lo ingloba. Non per cattiveria. Per coerenza.
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L’automazione non ruba il lavoro: ruba l’abitudine
Ogni volta che un algoritmo sostituisce una persona, non elimina la professione: ne elimina la parte automatizzabile. Il problema è che molti, in quella parte, avevano concentrato tutto il proprio valore.
Negli ultimi anni, abbiamo confuso l’efficienza con la competenza. Abbiamo imparato a rispondere, non a ragionare. A ripetere, non a interpretare. A gestire procedure, non a metterle in discussione.
Quando il contesto cambia, queste abitudini diventano un peso: perché ciò che era “efficiente” ieri oggi è superfluo.
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La nuova domanda non è quanto vali, ma quanto sei sostituibile
Il mercato non misura più la qualità di ciò che facevi, ma la pertinenza di ciò che fai.
La domanda giusta, oggi, è:
“Quanta parte del mio lavoro può essere svolta, meglio e più velocemente, da un algoritmo?”
Non è una domanda punitiva. È una sveglia. Serve a distinguere la parte del nostro valore che può evolvere da quella che si sta spegnendo per inerzia.
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Le competenze che non si automatizzano
Ogni volta che la tecnologia toglie manualità, rimane la parte più umana del lavoro: quella che nessun sistema binario sa replicare.
Le competenze che resistono sono due:
- Intellettuali – pensare, interpretare, decidere in contesti ambigui.
- Relazionali – comunicare, motivare, comprendere intenzioni ed emozioni.
Sono le due dimensioni che distinguono l’esecuzione dal pensiero, e la transazione dalla relazione. Senza di esse, qualsiasi ruolo — tecnico o manageriale — diventa sostituibile nel giro di pochi mesi.
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Fare bene il proprio lavoro non basta più
“Faccio bene quello che faccio” non è più un argomento. Non perché non sia vero, ma perché il mondo ha cambiato il significato di “bene”. Il lavoro oggi non si valuta in base alla precisione, ma in base alla capacità di creare valore dove gli altri non lo vedono più. La competenza tecnica è necessaria, ma non sufficiente: serve saper leggere il contesto, non solo rispettarlo.
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Cosa significano davvero quei 30.000 tagli
I licenziamenti di Amazon non sono un trofeo né un sintomo isolato. Sono la fotografia di una trasformazione che attraversa ogni settore, non solo quello tecnologico. Non vanno celebrati, ma compresi: rappresentano la parte di lavoro che il sistema ha deciso di riscrivere, non di cancellare.
Il punto non è giudicare Amazon. È chiedersi se noi, nelle nostre aziende o nei nostri ruoli, stiamo imparando a riscrivere ciò che facciamo — oppure se stiamo solo aspettando che qualcuno lo faccia al posto nostro.
Non serve temere l’automazione. Serve capire quale parte di noi si è già automatizzata. La tecnologia, in fondo, non distrugge chi pensa: distrugge chi smette di farlo.
Le domande che valgono oggi non sono filosofiche, ma operative:
- Sto crescendo nella parte che nessuno può sostituire: la mia capacità di interpretare e di decidere?
- Sto usando la tecnologia per ampliare la mia competenza o per difendere la mia abitudine?
- Sto lavorando per adattarmi o per capire?
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Il dubbio come competenza
Le macchine non hanno dubbi. Noi sì. E questo, paradossalmente, è ciò che ci tiene vivi e utili. Il dubbio non è un difetto. È la prova che stiamo ancora pensando. E finché continueremo a farlo, non saremo mai davvero sostituibili.
Buona settimana,
Simone
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Fonti:
Reuters (2025) – Amazon targets as many as 30,000 corporate job cuts
OECD (2025) – What happened to jobs at high risk of automation
Deming (2017) – The Growing Importance of Social Skills in the Labor Market
Acemoglu & Restrepo (2019) – Automation and New Tasks
Cognitive Systems Research (2024) – Theory of Mind Performance of LLMs